UN DANTE “APOCRIFO”… MA NON TROPPO

UN DANTE “APOCRIFO”… MA NON TROPPO (STUDI CATTOLICI)

Dal recente libro curato da Matteo Veronesi, Folli pensieri e vanità di core. Trentuno poesie attribuite a Dante (Mondo Nuovo, Pescara 2021, pp. 136, euro 15), sono tratte le tre poesie qui presentate: la critica le considera apocrife, ma il curatore del libro evidenzia come si attaglino bene al carattere di poeta teologo peculiare dell’Alighieri, sempre più imbrigliato da certa critica contemporanea nel letto di Procuste del razionalismo secolare.


da “STUDI CATTOLICI“, ottobre 2021

I tre testi che presentiamo in anteprima  (con  tutte  le  cautele  del caso) riflettono alcune delle molteplici anime di una recentissima raccolta di poesie Folli pensieri e vanità  di  core.  Trentuno  poesie attribuite a Dante (a cura di Matteo  Veronesi,   Edizioni   Mondo Nuovo,  Pescara  2021,  pp.  136, euro 15), variamente poste sotto il nome di Dante da antichi manoscritti,  ma  successivamente,  e forse affrettatamente, bollate come apocrife da una filologia troppo severa, se non a volte cieca – e qui si potrebbe quasi ricordare l’invettiva   di   Ezra Pound, nel Canto XIV, contro i filologi che,

«seduti su pile di pietrosi volumi,

/ oscurano i testi con filologia, / occultandoli   dietro   le   proprie persone».

LETTERA VS SPIRITO

Nel libro in questione, peraltro, la prefazione  rigorosissima  del  De Laurentiis, il quale ripercorre (dai pionieri ottocenteschi al Barbi, al Contini, al De Robertis fino alle edizioni più recenti) il progressivo, severo e minuzioso restringersi del canone delle poesie sparse considerate legittime parti del genio dantesco, fa quasi da contrappeso all’ardita vena del curatore: il quale, in modo a volte quasi pascoliano, si sforza di cogliere, anche  e  soprattutto  in  questi  testi poco noti, marginali, chiaroscurali, contrastati, i sensi nascosti sotto il velo della lettera, nella convinzione che spesso proprio l’eccessivo, folto spessore di quel velo abbia troppo contrariato e insospettito  la  critica,  inducendola  a rigettare questi versi.

DANTE, POETA TEOLOGO

Versi la cui natura conferma ulteriormente, se mai ce ne fosse bisogno,  la  Musa  di  poeta  theologus – artefice di quello che fu definito  un  vero  e  proprio  «epos della Grazia» – che soffiò in Dante: in netto contrasto, dunque, con la tendenza odierna, specialmente oltreoceano,  a  «de-teologizzare Dante», a pretendere di costringere, anacronisticamente, perfino il poeta  cristiano  per  eccellenza  (e proprio per questo, secondo Eliot, il  più  universale  di  tutti  i  poeti) entro le maglie di un relativismo, un razionalismo e una secolarizzazione del tutto moderni.

Eco, in un saggio fin troppo citato, vedeva nell’allegoria dantesca una contrapposizione  alla  concezione medievale, scolastica della poesia come  «infima  doctrina»,  lontana (con i suoi veli, i suoi artifici e i suoi  inganni  ambiguamente  impregnati di celate verità) dalla razionalità filosofica e teologica.

Sennonché   proprio   Tommaso, nel   commento   alla   Metafisica, sulle orme di Aristotele e di Agostino, si richiamava a quei poetae theologi come Omero e Orfeo, ai «creatori  di  miti»  che,  proprio perché   vicini   agli   «universali fantastici»  di  un  pensiero  originario e intuitivo, sono «per natura  filosofi».  Un’idea,  questa  del discorso   poetico   come   divino alieniloquium, come discorso altro e diverso da quello ordinario perché  teso  al  superamento  dell’umano, che giungerà fino a Petrarca,  che  molti  vorrebbero  invece per eccellenza laico, terreno e mondano.

OMERO & ORFEO, POETI FILOSOFI

Omero e Orfeo, si è detto.

Di   Omero,   «poeta   sovrano», Dante  non  conosceva  che  pochi frammenti, attraverso fonti latine (all’argomento   Giovanni   Cerri, recentemente  scomparso,  dedicò un   esile   ma   densissimo   libro, Dante e Omero. Il volto di Medusa,  Argo,  Lecce  2007,  suprema testimonianza di fervido, assoluto  Umanesimo).  Il  che  non  gli impediva,  grazie  a  Macrobio,  di annoverare anche lui fra i cantori di  sapienza  che  velavano  sotto molteplici   e   nebulose   fabulae poetiche,  «sub  poetici  nube  figmenti», verità profonde e remote. Orfeo, nel Convivio, è visto come allegoria della forza civilizzatrice della  parola,  dell’armonia  e  del canto che prevalgono sulla materia bruta delle pulsioni primarie. Questo stesso sfondo concettuale soggiace ai tre testi presentati, e li accomuna.

[…]

(Luca Monterone per Studi Cattolici, ottobre 2021)

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