Dott. Valerio Mancini, Narcís Pallarès-Domènech e Alessio Postiglione, Voi siete autori del libro Calcio & geopolitica. Come e perché i Paesi e le potenze usano il calcio per i loro interessi geopolitici pubblicato dalle Edizioni Mondo Nuovo: quale rilevanza assume, dal punto di vista geopolitico, il calcio?
Il calcio è uno spettacolo globale, con un giro d’affari superiore alla finanziaria di molti Paesi; la finale della Coppa del Mondo è lo spettacolo più visto sulla Terra. Con queste credenziali, non poteva non essere uno strumento di soft power utilizzato dagli Stati per promuovere il proprio brand. Tanti i casi nella storia lo dimostrano: i Mondiali del Centenario dell’Uruguay, la vittoria dell’Italia di Mussolini e dell’Argentina della junta militar, la mano de Dios di Maradona contro l’Inghilterra nel 1986 per vendicare la sconfitta nella guerra delle Malvinas, fino a giungere ai prossimi Mondiali in Qatar. Il piccolo Paese del Golfo oggi si gioca una partita anche nell’Afghanistan post Taliban. E questa partita prevede il calcio. Dai Mondiali al Paris Saint Germain del neo pallone d’oro Leo Messi.
In che modo gli Stati utilizzano il calcio per proiettarsi geopoliticamente?
Il Qatar, ad esempio, attira investimenti dall’Europa proprio attraverso il brand PSG. Sta facendo lo stesso l’Arabia Saudita, che ha rilevato il Newcastle. Mohammed Bin Salman sta costruendo una nuova città, Neom. La Cina sta creando il campionato più ricco del Mondo e, nelle intenzioni di Xi Jinping, il 2050, l’anno in cui la Cina dovrebbe diventare la prima potenza mondiale, dovrebbe coincidere con la vittoria di Pechino ai mondiali. Fantascienza? Stanno investendo milioni di euro in quel settore. Anche Russia e USA non stanno a guardare, con il controllo di squadre di calcio cosmopolite. Infine, con il calcio, anche le autocrazie si danno una mano di “rispettabilità democratica”, grazie ai valori che lo sport dovrebbe veicolare.
Come si è articolato il processo che ha fatto del calcio uno strumento geopolitico?
Come evidenziate nel Vostro libro, la Cina non sta a guardare: quali iniziative ha messo in atto la Repubblica Popolare per incrementare la propria influenza nella geopolitica del calcio?
Da quando Xi Jinping è salito alla guida del Partito comunista cinese nel 2012, egli ha stabilito i nuovi obiettivi strategici fino all’anno 2049, data del centenario della fondazione della Repubblica Popolare. Per portare avanti questo ambizioso piano, la Cina ha sviluppato delle strategie a diversi livelli, e una di questa è un piano strategico di sviluppo di medio e lungo termine del calcio cinese nel periodo 2016-2050, una vera e propria road map con obiettivi concreti. Come realizzare 20mila scuole calcio, con 30 milioni di praticanti del calcio tra gli alunni e 50 milioni di praticanti tra tutta la popolazione. La costruzione di 70mila campi da calcio in tutto il Paese, in modo che ci siano 0,5-0,7 campi liberi per ogni 10 mila persone. Un investimento straordinario, consapevoli della natura di soft power del calcio, che porterà l’intero settore cinese a valere 5.000 miliardi di RMB entro il 2025, cioè 638 miliardi di euro. L’investimento complessivo ha previsto 800.000 milioni dollari solo per sviluppare il calcio di base
Quali strategie stanno adottando Russia e Paesi del Golfo nella geopolitica del calcio?
Di Qatar e Arabia Saudita, già abbiamo detto. Importante ricordare anche la finale di Supercoppa italiana tra Juventus e Lazio giocata a Jeddah. La Russia ha una politica più sottile. Non solo il Chelsea di Abramovich o lo Zenit di San Pietroburgo, vincitore dell’Europa League, o il sigillo dei Mondiali in Russia. Ma anche Gazprom, il gigante dell’energia, che sponsorizza la Champions League, e una finissima strategia di exclaves calcistiche russofone che, mettendo a repentaglio la sovranità di tanti Stati, promuove la russosfera: pensiamo allo Shakhtar Donetsk, allo Sheriff Tiraspol, o anche le nazionali di Abkhazia e Sud Ossezia.
La FIFA rappresenta un potere geopolitico deterritorializzato: quali interessi persegue la Federazione?
Interessi economici ma anche geopolitici. Decidendo se una squadra possa fregiarsi o meno del titolo di nazionale, influisce sul destino di territori. Paesi affiliati alla FIFA e con limitata ricognizione internazionale o status particolari sono Taiwan, Macao, Hong Hong, Isole Cook, il Kosovo, ,Isole Vergini, Guam, Porto Rico, le Isole Comoro, Mauritius, Aruba, Anguilla, Antigua and Barbuda, Bermuda, le Isole Cayman, Bahamas, Barbados, Comoros, Cook Islands, Curaçao, Fiji, Isole Faroe, Gibilterra e la Dominica. Basta?
Per darvi un’idea della portata globale del calcio, e la rilevanza anche della FIFA possiamo fare un esempio: consideriamo che le Nazioni Unite hanno 193 stati membri, più Città del Vaticano e la Palestina, che hanno il ruolo di osservatori, quindi, in totale 195. La FIFA ha 211 membri – 16 in più, quindi la carta geografica della FIFA è più completa per spiegare alla geopolitica mondiale che la massima istituzione del sistema internazionale.
Ma non solo, se sovrapponiamo alla mappa geografica delle squadre di calcio che rappresentano i territori della FIFA, aggiungiamo le 60 squadre che fanno parte della CONIFA (Confederazione delle Associazioni Indipendenti di Calcio) – la confederazione calcistica per tutte le squadre “nazionali” esterne alla FIFA – raggiungiamo 271 squadre. Questo numero potrebbe crescere se aggiungiamo altre squadre di calcio che rappresentano territori come la nazionale catalana e i Paesi Baschi che non fanno parte de della CONIFA né della FIFA o nazionali che fanno parte solo di confederazioni continentali però non sono ancora membri della FIFA, per esempio Isole Marianne, Reunión, Zanzibar, Bonaire, Sint Maarten, e Saint Marti, due squadre per una unica isola del mare caraibico che ha la sua sovranità divisa in due, o Kiribati che fa parte delle Nazione Unite ma solo della confederazione continentale di Oceania, un caso simile al Principato di Monaco, è membro de ONU ma la sua squadra nazionale gioca nella CONIFA.
Riassumendo, ci sono più di 280 squadre nazionali di calcio contro 195 paesi riconosciuti dalle Nazioni Unite. Questo è solo uno dei motivi per cui il mondo del calcio internazionale è un ottimo strumento per analizzare e osservare il mondo della geopolitica, quindi la lotta per il potere e il dominio di uno spazio determinato.
Il Principato di Monaco, pur avendo diritto ad affiliarsi alla FIFA, ha deciso di non farlo: per quali ragioni?
Monaco, antichissimo principato europeo, governato ininterrottamente dalla casata dei Grimaldi dal 1419, membro delle Nazione Unite dal 28 di maggio di 1993, è al di là del calcio, uno dei casi più significativi, e soprattutto di successo, dal punto di vista dell’uso della diplomazia sportiva per finalità geopolitiche. Questa strategia è stata gestita di forma magistrale dalle due ultime generazioni che hanno guidato il paese, il principe Alberto II, attuale sovrano, e anche suo padre Ranieri III. Una classe dirigente ben preparate che stata molto abile nel gestire le sfide geopolitica del paese e lo hanno salvato di una situazione molto delicata dopo la Seconda guerra mondiale.
Il Principato di Monaco ha trovato nello sport e nel calcio uno strumento di proiezione geopolitica e di soft power. Questo termine, “soft power” usato spesso quando si parla di geopolitica, è stato definito dal politologo americano Joseph Nye come un meccanismo inteso per esercitare influenza e seduzione nelle relazioni internazionali sugli altri attori utilizzando elementi culturale e ideologici, i cosiddetti poteri morbidi.
La sua nazionale di calcio, pur avendo il diritto di poter affiliarsi alla FIFA, essendo il Principato membro dell’ONU, come sarebbe il caso di altri microstati europei come San Marino, affiliata alla FIFA nel 1988 o Liechtenstein, affiliata alla FIFA nel 1988 , ha deciso appunto di non farlo, ma perché?
Secondo la nostra analisi i motivi sono tre:
Il primo è per non danneggiare la sua strategia geopolitica sportiva e non creare conflitti con il suo estero vicino, soprattutto Francia e Italia. La Francia è allo stesso tempo massimo garante della sicurezza e principale minaccia di una eventuale annessione. Competere con loro in un campionato di calcio FIFA, non aggiungerebbe grandi elementi positivi al Principato e potrebbe invece creare delle antipatie. D’altronde se pariamo dell’Italia, il governo del Principato non ha esitato a prevenire eventuali conflitti diplomatici per motivo del calcio: vietò alla nazionale monegasca di giocare nella Coppa del Mondo VIVA 2009 (VWC), organizzata dalla CONIFA, confederazione di calcio indipendente ella FIFA, che si giocava in Lombardia e aveva come territorio ospitante la squadra della Padania, episodio che raccontiamo nel libro e che ci porta al secondo motivo.
Il Principato ha deciso, anche per potenziare la sua immagine di paese solidale, di giocare insieme alle squadre non riconosciute della FIFA. Monaco ha anche incontrato ben 5 volte la squadra di calcio che rappresenta lo Stato della Città del Vaticano ed è stato membro cofondatore della NF-Board, affianco alla nazionale del Tibet, la prima confederazione di calcio indipendente, i poi membro della attuale CONIFA. Ed è significativo il fatto che accetta sostenere la squadra del Tibet, che rappresenta il governo tibetano in esilio, atto che potrebbe interpretarsi come un riconoscimento di fatto del governo del Dalai Lama e che potrebbe creare tensione diplomatiche con la Repubblica Popolare Cinese, ma non vuole sovraesporsi quando centra l’Italia.
Il terzo motivo è che nella strategia della diplomazia sportiva monegasca, la squadra di calcio principale non è la nazionale ufficiale del calcio indipendente ma è L’Association Sportive de Monaco Football Club, la sua squadra professionistica che milita nel campionato francese, 8 volte campione di Francia e finalista della Champions League 2003-04.
Per concludere la risposta possiamo dire che il caso del Principato di Monaco e l’altra faccia della moneta di un altro storico principato europeo, la Catalogna, che vorrebbe avere una nazionale FIFA ma non ancora riesce, ma tutte due hanno due club che sono il proprio portabandiera nel mondo, la sua nazionale ufficiosa, l’A.S. Monaco e il F.C. Barcelona
Nel Vostro libro, preconizzate la trasformazione dei calciatori in leader politici: in che modo il calcio è destinato a diventare sempre più funzionale alle dinamiche di costruzione del potere?
Oggi viviamo la politica spettacolo, che è in osmosi con lo spettacolo politicizzato, proprio come è il calcio. I pochi esempi di politici-calciatori, come il caso dell’ex milanista Kaladze, sindaco della capitale della Georgia Tbilisi, sono destinati a diventare sempre più frequenti, perché non esistono più le grandi ideologie; la gente vota leader telegenici, non i partiti, ed è chiaro che calcio e cinema diventeranno sempre più la fucina di queste leadership mediatizzate.
Che rapporto esiste fra calcio e mafie?
Guadagni insperati e posti di lavoro: per le mafie il calcio è senza ombra di dubbio un business in cui inserirsi.
Nel libro affrontiamo appunto il tema delle infiltrazioni del crimine organizzato transnazionale nel mondo del calcio. Vengono citati numerosi aneddoti legati alla storica faida Blatter-Platini-Maradona e un capitolo è appunto dedicato alle connessioni tra narcotraffico e calcio sudamericano, con particolare enfasi sul cosiddetto Narco-fútbol, che per anni ha caratterizzato e continua a dominare il panorama calcistico di Paesi come Colombia e Messico. Emblematico resto il caso del mondiale del 1986 assegnato inizialmente alla Colombia ma che, proprio a causa della furia omicida di Pablo Escobar e delle faide tra i cartelli della droga, venne spostato dalla FIFA per la prima e l’unica volta della storia in un altro Paese, il Messico, che aveva già ospitato il mondiale 16 anni prima. Le radici dell’interesse mafioso nel calcio vanno però cercate più lontano: dagli anni 1980 infatti si registra una sempre maggiora presenza delle organizzazioni criminali nel mondo del pallone. Si ricorderà Diego Armando Maradona accanto ai boss di Forcella Carmine e Raffaele Giuliano: non una semplice istantanea ma un sintomo della commistione tra i due mondi.
L’altro grande polo di analisi e di approfondimento è quello delle infiltrazioni di stampo mafioso nelle tifoserie organizzate. Il controllo della curva, infatti, dalla Bombonera di Buenos Aires al Barbera di Palermo diventa la rappresentanza di un territorio su cui imporre regole che si qualificano spesso come illecite, dall’imposizione di condotte e comportamenti agli adepti alla gestione di affari ed interessi connessi al gioco del calcio.
Quale futuro, a Vostro avviso, per il calcio?
Non è semplice parlare oggi in linee generali del futuro dello sport più bello del mondo. Possiamo sicuramente menzionate, come anticipato nel libro, i principali trend del calcio globale e quale sarà lo spazio di dominazione geopolitica. Il calcio del futuro prossimo avrà indubbiamente quattro macro-tendenze principali;
Un esempio in tal senso è il caso del Marocco che ha deciso di puntare sul calcio, approfittando anche della crescente instabilità nella regione del Sahel e della non conformità della maggior parte degli stadi delle grandi capitali dei Paesi dell’area, allo scopo di affermare la propria egemonia regionale e conquistare un ruolo chiave in tutto il continente. Al fine di perfezionare le sue relazioni diplomatiche e il suo ruolo di attore regionale, da qualche anno il Regno, sostenuto dal coinvolgimento personale del re, si serve con particolare successo di un altro strumento di soft power: il calcio. Il Marocco si impegna inoltre a sostenere la costruzione di infrastrutture sportive, la formazione di dirigenti, l’accoglienza di corsi di formazione per le squadre nazionali, la formazione di arbitri e l’organizzazione di partite amichevoli. Il Paese sta gradualmente raccogliendo i frutti della sua “Football diplomacy”. Anche se la sua candidatura a ospitare la Coppa del Mondo di calcio 2026 non è andata a buon fine, il Marocco ha comunque ricevuto il sostegno di 35 Paesi africani ed è uno dei candidati più accreditati a ospitare l’edizione del 2030.
Alessio Postiglione, giornalista professionista, addetto stampa presso il Ministero dei Beni culturali, Cavaliere dell’Ordine del merito della Repubblica. Già Research assistant dell’Istituto Universitario Europeo, direttore del Master in Political marketing della Rome Business School, docente in comunicazione per la LUISS, l’Università Internazionale di Roma, la Sapienza e la SIOI; ha scritto per la Repubblica, il Mattino, l’Huffington Post, L’Espresso. Ex capo ufficio stampa presso Presidenza del Consiglio, è stato addetto stampa anche al Parlamento europeo e al Comune di Napoli. È autore di Popolo e populismo (Cairo, 2019) e Sahara, deserto di mafie e jihad (Castelvecchi, 2017).
Narcís Pallarès-Domènech , analista politico, esperto di sicurezza e relazioni internazionali. Laureato in Scienze politiche all’Universitat Autònoma de Barcelona. Master in Geopolitica e Master in Comunicazione e Lobbying nelle Relazioni Internazionali presso la SIOI-UN Italia. Master di Geopolitica e Sicurezza Globale presso l’Università di Roma “La Sapienza”. Guest lecturer presso la cattedra di Geografia delle Lingue dell’Università di Roma “Tor Vergata”. Si occupa delle relazioni esterne e istituzionali della Delegazione del Governo della Catalogna in Italia.
Valerio Mancini, analista e politologo esperto di relazioni internazionali. Ha lavorato per l’Istituto Interregionale delle Nazioni Unite per la Ricerca sul Crimine e la Giustizia (UNICRI), l’Ufficio delle Nazioni Unite contro la Droga e il Crimine (UNODC), l’OCSE e per il MAOC-N, Centro di Analisi ed Operazioni Marittime – Narcotici. Docente presso la Rome Business School e l’Istituto “Armando Curcio”, è stato visiting lecturer in numerose università in Italia e all’estero; direttore del Centro di ricerca della Rome Business School, dove insegna anche “Geopolitica dello sport”. Autore e co-autore di articoli e pubblicazioni accademiche, ha lavorato per il quotidiano colombiano El Espectador.
(Fonte: www.letture.org)