Di seguito l’articolo, pubblicato il 23 febbraio 2022 su lavocedeimedici.it:
Nell’intervista, rilasciata alla nostra redazione, la neuro scienziata Maria Teresa Ferretti spiega i progressi nello studio della malattia di Alzheimer, raccontati dettagliatamente nel saggio, edito da “Mondo Nuovo”.
Partiamo da “Alzheimer Revolution”. Cosa l’ha spinta a scrivere e quali tema affronta?
Lavoro in questo campo da 15 anni come ricercatrice ed ho assistito, in alcuni casi anche in prima persona, ad alcune scoperte straordinarie, che reputo epocali. Eppure, ogni volta che mi trovo a parlare al di fuori della mia ‘bolla’ (banalmente, ad ogni vacanza in Italia) mi rendo conto dell’enorme divario fra le conoscenze che abbiamo, fra specialisti, e la percezione della malattia nel grande pubblico. Si tende a pensare che sia una malattia incurabile, di cui non si sa nulla e di cui ci si vergogna, quasi fosse una colpa. Una sorta di buco nero. Il libro racconta le grandi scoperte scientifiche degli ultimi anni in parole semplici, per cercare di colmare questa distanza, portare un po’ di luce e dare strumenti di conoscenza e speranza anche a pazienti e ai loro familiari.
Potremmo definire il suo libro una sorta di “guida” per chi vive la malattia in prima persona? Perché, secondo lei, c’è così tanta paura nei confronti di questa patologia, che spesso viene considerata come una condanna?
Io spero il libro possa servire come risorsa che accompagni le persone che questa malattia la temono. Spiega alcuni dei concetti più basilari, dal come possiamo diagnosticare la malattia a come prevenirla. Ci sono tanti spunti che spero possano essere utili, sia di riflessione che pratici, che ognuno di noi può mettere in pratica. Io credo che si teme ciò che non si conosce, e che molta della paura nei confronti di questa patologia viene dall’idea che sia un mostro invincibile e misterioso, di cui gli scienziati e i dottori non riescono a venire a capo. La diagnosi è vissuta come una condanna, come un salto nel buio sia dalle famiglie che – spesso – anche dai medici.
Qual è l’approccio predominante nel trattamento di malattie neurologiche come il morbo di Alzheimer? All’estero – dove lei lavora e vive (in Svizzera) – c’è lo stesso atteggiamento che si riscontra in Italia?
Io non sono un clinico quindi non mi sento di poter rispondere nel dettaglio a questa domanda. In generale, all’estero come in Italia esistono centri all’avanguardia e di eccellenza, dove alla cura si accompagna la ricerca scientifica e ai pazienti è offerta un’assistenza che tiene conto delle ultime scoperte (come l’uso dei bio marcatori per aiutare la diagnosi, o la possibilità di entrare in uno studio clinico per un trattamento sperimentale). Al di fuori di queste oasi, nella maggior parte dei casi c’è poca attenzione ai disturbi cognitivi nell’anziano, che sono ancora visti (erroneamente) come parte naturale dell’invecchiamento. Il primo passo della rivoluzione sta qui: nel convincerci che l’Alzheimer è una malattia e non appartiene all’invecchiamento normale; va per questo sempre identificata e trattata.
Quali progressi ha compiuto la scienza nel recente passato? E verso quale direzione si andrà nel futuro?
Infine, c’e’ un mondo di scoperte che hanno a che fare con l’uso di nuove tecnologie, da apps sul tablet ad algoritmi di intelligenza artificiale, per diagnosticare la malattia e forse un giorno persino curarla. C’e’ davvero tanto e io credo che nei prossimi anni avremo un’esplosione di nuove soluzioni per i pazienti – sia diagnostiche (per esempio, test dal sangue) sia di trattamento, che di approcci non farmacologici come le apps.
Perché è importante investire nella medicina di precisione per migliorare la salute del cervello?
I pazienti non sono tutti uguali ed i colleghi in oncologia lo hanno capito già 20 anni fa. Io ne parlo volentieri, avendo avuto un’esperienza personale col tumore al seno. La medicina di precisione per me, come paziente oncologica, ha voluto dire una diagnosi precisa e molecolare in una settimana, una profilazione dettagliata del mio tumore nel giro di due settimane che ha poi dettato le successive decisioni terapeutiche (nel mio caso, chirurgia, radioterapia e ormonoterapia). Mi è stato dato il miglior trattamento possibile, per il mio caso specifico, anche sulla base dell’espressione genetica del mio tumore. In neurologia e psichiatria siamo ancora lontani da questo livello di precisione, ma stiamo iniziando a parlarne. I pazienti, spesso con sintomi simili, spesso hanno patologie diverse (come l’esempio del mal di pancia: può essere causato da stress, o colite, o ulcera – il trattamento non può essere uguale per tutti i pazienti con il mal di pancia, ma deve essere mirato alla patologia che causa il sintomo).
Lei è una donna di scienza e di recente si è celebrato l’”International Day of Women and Girls in Science”. L’innovazione sanitaria avrà sempre più bisogno di donne?
È dimostrato che le squadre che hanno più “diversity”, quindi includono punti di vista diversi, sono più dinamiche e produttive. Questo vale anche nella scienza, dove tantissimi talenti femminili (anche raccontati nel libro) stanno dando dei contributi enormi. Nel campo della medicina le donne portano innovazione e competenza e spero davvero che presto si elimini il gender gap esistente a livelli dirigenziali. Un aspetto dove le donne hanno un ruolo cruciale è la medicina di genere, cioè quella parte della medicina di precisione che si occupa delle differenze fra uomini e donne. La medicina di genere ci aiuta a trovare il trattamento giusto per il paziente giusto, che in molti casi sarà diverso per uomini e donne in quanto le malattie divergono fra i sessi (per fattori, di rischio, sintomi, risposta ai farmaci; un capitolo nel libro è dedicato alle differenze di sesso e genere in Alzheimer). Con il Women’s Brain Project, l’organizzazione che ho co-fondato e di cui sono attualmente direttrice scientifica, studiamo come queste differenze possano essere sfruttate per trovare nuove soluzioni in medicina, anche nel campo dell’Alzheimer. È interessante come diversi studi abbiano rilevato che più donne ci sono in un team scientifico, più probabile è che i risultati riportino per esempio dati stratificati fra uomini e donne. In conclusione più donne in ricerca uguale più medicina di genere.