Era poco tempo fa, ero ancora un ragazzo, stavo per entrare nel mondo degli adulti. E potevo farlo perché un mondo c’era ancora. E la Giustizia era il “Dio” che organizzava la rappresentazione di quel mondo. Qualcuno sceglieva di stare di qua, qualcuno di là. Ma l’idea di Giustizia era il discrimine tra gli uomini. Si facevano guerre, lotte civili, divorzi, tra chi la Giustizia la voleva per tutti, e chi solo per la razza superiore.
La nostra vita è stata fortemente segnata da quella condizione. Al punto che c’è chi ha pianto più per l’assassinio di Salvador Allende, che per la morte del padre. Più per la violenza sui vietnamiti, che per il fallimento dei propri interessi privati. Allora ci sono stati uomini che hanno rinunciato al successo personale per amore della Giustizia, e hanno potuto farlo perché il mondo che “trascendeva” gli uomini non era ancora una “favola”, ma era vero, vissuto, sofferto.
Allora era facile identificarsi con i Leader politici, perché i Leader politici e i loro elettori erano dentro lo stesso “mondo”. Non si era ancora sbriciolato in mille rivoli come oggi, dove ognuno di noi pensa di essere il “vero” mondo, e non riesce a riconoscere nessuna realtà al di là della propria persona.
Se ognuno di noi pensa di essere il terminale della verità: come è possibile tornare ad essere com-unità? Se manca l’accomunante trascendente come tenere assieme le diversità?
Non è la “cattiveria” degli uomini se oggi ci sono partiti politici in perenne ricerca di un equilibrio. L’equilibrio non arriva non perché ci sia l’Orco che lo impedisce. Non può arrivare perché ogni capo-corrente pensa di essere il più capace, il più buono, il più intelligente. E non lo pensano solo i capi-corrente, lo pensiamo anche noi. Anche noi giorno e notte esprimiamo via social la nostra superiorità rispetto ai nostri interlocutori (ed è forse l’unico significato della parole “sociale” che ci è rimasto).
Ma perché in così breve tempo (il tempo per passare dall’essere nipote a quello di nonno) è evaporata completamente la rappresentazione del mondo “solido”, stabile, quasi immutabile della mia (nostra) infanzia? e oggi siamo tutti atomi sciolti in perenne ricerca di un Capo-corrente con il quale identificarci per un quarto d’ora e ritrovare così un temporaneo equilibrio?
Questo dovrebbe essere il problema, non la facile, inutile, infantile condanna dell’Uno o dell’Altro che si alternano al governo del partito che votiamo.
Forse è inevitabile la fiducia in quello-che-non-c’è per poter credere poi a quello che vediamo e che tocchiamo. Ma la fede in quello-che-non-c’è non è in vendita nei nostri supermercati; non è pubblicizzata né sui giornali né nelle televisioni.
E se i nostri poveri rappresentanti politici non hanno neanche loro alcuna fiducia in quello-che-non-c’è, come è possibile che noi possiamo identificarci con loro? (solo se elettori ed eletti sono accomunati da “qualcosa” è possibile avere vicendevole fiducia. Ed è il “qualcosa” a renderla possibile).
Gli uomini erano convinti che eliminando il mondo “trascendente” sarebbero diventati più liberi. Oggi cominciano a rendersi conto che se eliminiamo quel mondo rimangono solo i “valori” della società, oppure quelli dell’Io.
Due “realtà” da non ignorare per vivere, ma del tutto incapaci di dare risposte a noi che “siamo fatti dalla stessa sostanza del sogni” (Shakespeare).
Noi siamo più “trascendenza” che “realtà”; più Giustizia celeste che Tribunali degli uomini. Abbiamo naturalmente bisogno anche del pane, ma non possiamo vivere di solo pane (anche perché molti di noi oggi con il pane buttano nell’immondizia anche il companatico).