Siamo appesi all’ultima news. Da essa dipende la nostra idea del mondo. Da essa dipende la “verità” che orienta i nostri pensieri e le nostre azioni; i nostri giudizi, le parole per parlare; il nostro sguardo sugli uomini e sulle cose.
Confondiamo la parte con il tutto; forse perché il tutto sembra non esistere più. E se il tutto non esiste più, la parte , l’ultima notizia, diventa il fondamento della nostra rappresentazione del mondo.
Noi per vivere abbiamo bisogno di un “mondo”: ne abbiamo bisogno quasi più del pane. E quel mondo del quale abbiamo bisogno per vivere lo creiamo noi. Non noi singolarmente, ma la nostra storia, la nostra società, i nostri bisogni. E noi , senza scegliere, non possiamo non aderire ad una oppure ad un’altra idea di mondo.
C’è chi per natura è troppo “deviante” rispetto all’idea di mondo ereditata, ed è perciò costretto a creare “qualcosa” per raccorciare la distanza tra i suoi bisogni e la “realtà. E chi è ancora più “deviante” e non gli basta neanche l’arte per creare ponti con il mondo ereditato. E deve perciò sottrarsi a questa vita.
Il mondo per noi è come la tela per il ragno: c’è chi lo utilizza per catturare le mosche, e chi per garantirsi l’onnipotenza di un Dio. Ma sempre per vivere serve, non c’entra niente con la verità.
Un tempo il mondo degli uomini era più ampio, aperto, quasi infinito. C’era Dio a renderlo profondo fino agli inferi ed elevato anche al di là del cielo. E per chi non credeva all’onnipotenza del Dio, c’era sempre fiducia nel trascendente, nell’ideale, nel sacro.
Dentro un mondo così, l’uomo non poteva che sapersi piccino, irrilevante, mortale. Poi piano piano la fiducia nell’onnipotente celeste è scemata sempre più tra gli uomini; ma non si è persa solo la fiducia nel Dio, si è persa fiducia anche nel sacro, nell’ideale, nel trascendente, che in qualche modo erano stati “giustificati” da quel Dio.
Senza l’ “altro mondo”, il nostro diventa sempre più piccolo; sempre più simile a noi; a quella parte di noi che misura tutto sul dare e sull’ avere.
Non conoscendo altra realtà, siamo costretti a credere che la nostra piccola realtà coincida con tutta la realtà: la parte è diventata il tutto: “Nel corso del novecento si è cristallizzato un processo di enorme portata, che ha investito tutto ciò che passa sotto il nome di “religioso”. La società secolare, senza bisogno di proclami, è diventata ultimo quadro di riferimento per ogni significato, quasi che la sua forma corrispondesse alla fisiologia di qualsiasi comunità e il significato si dovesse cercare solo all’interno della società stessa” (R. Calasso).
Recluso dentro la società-caverna, l’uomo non dispone più di nessun criterio per essere “educato” da altro; non si misura più con l’ “assoluto”. “E’ come se l’immaginazione si fosse amputata, dopo millenni, della sua capacità di guardare oltre la società, alla ricerca di qualcosa che dia significato a ciò che accade all’interno della società”(R. Calasso).
Confondiamo sempre più la parte con il tutto: siamo prigionieri dentro la caverna, ma siamo convinti di abitare l’universo.
Tino Di Cicco