PAUL DELAROCHE - L'esecuzione di Lady Jane Grey, 1834.
“Lo slogamento del collo è l’ideale a cui si deve aspirare”.
Non è del collo di una gallina che si sta parlando, occorre dirlo, ma dei colli di tutti quei criminali che per il bene della società meriterebbero una tiratina definitiva.
Charles Duff, scrittore inglese di origine irlandese, nel Manuale del boia ci introduce alla nobile arte dell’impiccare, con l’entusiasmo di un selezionatore di turni in una mensa scolastica.
Ma le ragioni da lui mosse a favore della pena di morte non sono quelle che ci si aspetterebbe da un sostenitore ortodosso… Duff infatti espone la necessità ed i vantaggi della massima pena con un sarcasmo e un paradosso tali da smontare tutte le tesi a favore della “nobile arte”.
Questo ironico pamphlet, pubblicato per la prima volta nel 1928 e corredato di elementi preziosi a favore della pena capitale per scoraggiare anche le più tolleranti delle intenzioni, ebbe diverse edizioni e la traduzione italiana è relativa a quella del 1948, l’ultima aggiornata dall’autore alla vigilia della storica seduta del Parlamento britannico che doveva deliberare sull’abolizione della pena di morte.
In Inghilterra l’esecuzione capitale trovava sostenitori illustri tra i quali G.B. Shaw, per il quale, nel pubblico interesse dovevano essere uccisi “gli esseri umani nocivi”. La pena fu abolita per reati ordinari nel 1965, e fu abolita definitivamente nel 1998.
Il libello di Charles Duff però non è mai passato di moda, in quanto il dibattito sulla questione della leicità della pena di morte è tuttora apertissimo (sono 83 gli Stati nel mondo che la prevedono formalmente, contro i 117 che non la prevedono o non vi fanno ricorso).
Questo scritto polemico è corredato di un “prontuario per il boia” ad opera del celebre boia Mr. Berry, ovvero una tabella di valori della forza d’urto in corrispondenza di ogni singola combinazione di peso e di altezza di caduta; è supportato da dati statistici e da altri accurati calcoli sullo spazio che dovrebbe esser concesso agli omicidi e alle impiccagioni nei quotidiani. “Non c’è miglior lettura per la domenica, del resoconto di un crimine o di un’impiccagione”.
Non manca certo qualche lieve contraddizione nel sistema britannico per Duff. Se tale pena deve essere un deterrente, non dovrebbe quanto meno esser resa pubblica? E considerando la delicatezza e l’importanza del lavoro del boia, non è assurdo che la sua paga sia così bassa e senza previdenza sociale? È addirittura stupefacente che questi benemeriti non ricevano onori e decorazioni. Ci suggerisce Duff di nobilitarla con tutti i crismi dell’arte e di dargli delle basi scientifiche. “Quando ci sarà un premio Nobel anche per i boia?”.
È proprio questo lo spirito mordace e provocatorio di cui fa uso Charles Duff per banalizzare le tesi dei legittimisti dell’esecuzione capitale.
Perché se è tale l’utilità della pena capitale come mezzo dissuasivo del crimine, contraddittorio è che i delitti nei paesi in cui è stata abolita non siano aumentati, ma siano anzi diminuiti.
Ma non bisogna scoraggiarsi e continuare piuttosto ad operare per la sicurezza di un paese civile, perché, sottolinea Duff, “un’esecuzione ben fatta è come un sonetto di Petrarca, o una statua di Michelangelo, o un quadro di Velázquez”.
La storia dell’ultima esecuzione capitale di una donna avvenuta in Inghilterra, la ventottenne Ruth Ellis, è narrata con cruda analisi nel film “Gli uomini condannano” (Yield to the Night) del 1956, per la regia di J. Lee Thompson.
Chiara Marena