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Alessio Postiglione, Valerio Mancini e Narcis Pallares hanno analizzato i legami tra calcio e geopolitica in un libro colmo di nozioni ed assolutamente esplicativo, anche attraverso esempi pratici. Ne abbiamo parlato con Alessio Postiglione.
Quali fini ci siete posti nella realizzazione di questo libro?
Raccontare di più di una grande passione degli italiani, che è molto più di un gioco. Rito sociale e antropologico, business, strumento di soft power da parte di Stati e poteri transnazionali.
Rispetto alla globalizzazione il calcio è stato più attore e spettatore passivo?
Attore, indubbiamente, dato che la globalizzazione è avanzata non solo in campo economico ma anche attraverso l’industria culturale e lo spettacolo, e il calcio fa parte di questi fattori. Soprattutto con la sentenza Bosman, è il calcio è globalizzazione. Ma è anche vero che, attraverso le nazionali, soprattutto quelle di Stati dal dubbio status giuridico o non riconosciute, riesce ancora ad essere un agente identitario, dunque, per certi versi, in antitesi con quella globalizzazione che il calcio-business porta avanti.
Ci vedete un’evoluzione nel calcio come soft power in mano ai governi? È in tal senso un fattore dinamico che acquisisce importanza con il tempo?
Per me, già oggi l’importanza è enorme. Quello che vedo di dinamico è la capacità del calcio di produrre vere e proprie leadership politiche, come il caso di Ben Bella, George Weah e Berlusconi attestano. Nella politica spettacolo, cinema e calcio sono destinati ad essere dei serbatoi per le leadership politiche.
Il calcio ha perso totalmente la sua parte innocente ed ingenua? Riuscire ancora ad emozionarvi per una partita?
Non ha perso questa aurea, che resiste nonostante i processi di commodificazione in atto. Ovviamente, questo calcio identitario resiste più facilmente nelle nazionali o nei club di provincia, rispetto ai grandi club, trasformatisi in grandi brand.
Purtroppo il calcio è sempre più in mano anche alla malavita e connesso ad affari poco leciti; si sta assottigliando la differenza tra usi propagandistici ed usi meramente illeciti?
La nostra analisi respinge questa dicotomia perché inquadra le mafie come attori “politici”, sulla scia degli studi di Santi Romano. Ovviamente facciamo il tifo per gli Stati legittimi e non per i clan, ma l’utilizzo del calcio che ne vogliono fare questi ultimi non è qualitativamente diverso da quello che interessa alle autorità politiche legittime. Mezzo di fascinazione e manipolazione delle masse.
I paesi nel quale il calcio non è un fenomeno di massa sono meno soggiogati ai disegni politici dei governati? Viene a mancare una forma di controllo di autodeterminazione?
Non direi, perché dove non c’è il calcio, magari c’è un altro sport nazionale che assolve a quella funzione politico-identitaria. Possiamo dolerci del fatto che la politica utilizzi lo spettacolo per manipolare la masse? Sicuramente. Ma l’agire umano non è solo razionale e immaginare una politica scientifica che rinunci agli strumenti emozionali per mobilitare le masse mi sembra una speranza positivistica. Anche il governo tecnocratico di Draghi ha beneficiato della nostra vittoria all’Europeo.
La povertà e la miseria sono variabili da considerare quando si analizzano determinati stati (o nazioni) e le loro interazioni con il calcio?
Anche qui, mi sembra una impostazione neoilluminista. Che il calcio sia utilizzato come strumento per manipolare le masse da parte delle élites mi sembra ragionevole. Ma è l’Uomo che abbisogna di questa dimensione rituale e mitomotrice. Al di là delle differenze di classe. I nazisti credevano genuinamente nella loro mitologia occulta, al di là del dato che la utilizzassero per irreggimentare le masse.
Che scenari immaginate per il calcio del futuro? Il legame con la geopolitica sarà ancora più solido?
Nuove potenze calcistiche emergeranno, senza dubbio. Sì, il legame sarà ancora più solido perché la politica vira sempre di più verso la democrazia del pubblico.
Fonte: https://bibliocalcio.com/2021/09/16/intervista-calcio-e-geopolitica/