Sono in maggioranza storie di donne (Frau come le indica Antonella Santuccione Chadha) quelle raccolte nel libro “Una bambina senza testa” (editore Mondo Nuovo- febbraio 2021- Pescara).
Le storie narrate, come precisa l’editore, tranne quella di “Sofia” (e di Arko pur con un nome fittizio) sono inspirate da casi clinici descritti nella letteratura scientifica, ma ognuna di esse rappresenta ed è un compendio di tante altre esperienze simili.
Non serve sapere se è esistita o no quella persona, perché ciò che ci viene presentato è una storia verosimile e realistica, un vissuto individuale di tante altre e altri.
Raccontano di essere umani che hanno avuto a che fare con disturbi, sintomi e diagnosi finali che riguardano il cervello e la mente, che toccano quelle parte del corpo umano che più sembra misteriosa e inattaccabile, ma che, al contrario, è fonte di patologie spesso ancora incurabili come le demenze e di disturbi devastanti come le “voci” della schizofrenia.
Le autrici sono due scienziate italiane – Antonella Santuccione Chadha e Maria Teresa Ferretti – che hanno adottato nel libro un espediente narrativo molto efficace. Interloquiscono tra di loro su ogni caso: Antonella racconta, attingendo anche dalla sua esperienza clinica, il suo sforzo per entrare in relazione con la persona prima ancora che con il paziente di cui espone la storia, i sintomi, la prima diagnosi, e poi chiede a Maria Teresa Ferretti le informazioni scientifiche, quali le parti del cervello coinvolte, cosa si cela dietro una diagnosi o un sintomo, qual è lo stato delle conoscenze in materia, quali le tipologie di farmaci prescritte.
È un colloquio tra due amiche, che permette di esporre conoscenze scientifiche con un linguaggio appropriato, ma accessibile ad un grande numero di lettori e lettrici, con una chiave ulteriore di facilitazione dell’apprendimento. Quando si parla del cervello o di un disturbo specifico o dell’azione di farmaci, semplici disegni indicano la loro localizzazione o dove agiscono.
Un tratto comune unisce la neuroscienziata e la patologa clinica: andare oltre la conoscenza del “paziente” per arrivare alla persona. Per Maria Teresa un’improvvisa “illuminazione” le dice che oltre il microscopio c’è una persona con sentimenti, paure e affetti.
Per Antonella la scelta del percorso di studio era stata indotta da questo interesse per l’essere umano. In tutti i racconti Antonella si pone l’interrogativo su come avvicinarsi alla persona, come entrare in relazione con lei, come poterla aiutare oltre la prescrizione e la cura medica, perché è consapevole che il linguaggio del corpo, il portamento, lo sguardo sono espressione del nostro sentimento e del nostro interesse reale nei confronti di chi ci sta davanti.
Poi c’è Frau Dr Baumgarten, capo medico di Antonella “dritta, austera, sicura” che compare nella storia di due uomini ricoverati Herr Wraber e Herr Steiner, che manifestavano sintomatologie depressive analoghe ma derivanti da malattie differenti. Alcune di queste storie non si concludono con diagnosi di demenza, ma sono occasione di interrogativi e relative spiegazioni nel dialogo tra Antonella e Maria Teresa, per dissipare i rischi di diagnosi fuorvianti.
Le storie di donne hanno però un potere di attrazione e coinvolgimento maggiore, forse perché anche la stessa identità femminile dell’autrice, porta a cogliere e condividere di più gli stati d’animo.
Le due storie – raccolte nello stesso capitolo – di Frau Weller e Frau Schwank, entrambe colpite da mania di persecuzione, sono occasione per Maria Teresa per fornire la sua preziosa spiegazione, perché tale atteggiamento compare spesso nelle persone con demenza in particolare nelle donne, che sono comunque la maggioranza tra i pazienti con questa patologia
Per Frau Weller, conquistata dai capelli ricci della dottoressa Santuccione, fu esclusa alla fine la presenza di demenza, ma diagnosticata come una personalità paranoide.
Per Frau Schwank era la diffidenza verso tutti quelli che la circondavano che alimentava la sua mania di persecuzione: cieca per una cataratta e sorda non aveva più alcuna possibilità di controllare chi le stava attorno e rischiava di traslocare dal suo ricco attico con vista sul lago di Zurigo ad una casa di riposo, anche se di lusso. Solo una rovinosa caduta a terra la convinse a seguire il consiglio di Antonella e chiedere l’immediato ricovero in una clinica oculistica per togliere quell’impedimento e ritornare a vivere nel suo attico.
Per due donne Frau Ruetli e Sofia la diagnosi di demenza fu certa sin dall’inizio.
Frau Ruetli era stata una giornalista della CNN in Brasile. Si era accorta di trovare difficoltà a ricordare le parole giuste per esprimersi, limitazione che, per una professionista come lei, rappresentava un ostacolo insormontabile. Una prima diagnosi era stata di afasia progressiva primaria su cui Antonella chiede una spiegazione alla neuroscienziata. Dopo numerosi esami con un continuo peggioramento della condizione fisica e psichica, la sua angoscia si manifestò con un pianto a dirotto, ascoltando uno dei pazienti che suonava il piano.
Il libro ci offre un altro prezioso contributo di Maria Teresa che cerco di riassumere.
La patologia di Alzheimer, una delle cause più frequenti di demenza porta ad una progressiva perdita di sinapsi e massa cerebrale per due molecole tossiche che si accumulano nel cervello, Tau e Beta amiloide, che portano alla riduzione progressiva di memoria e di altre funzioni. Ma dice la neuroscienziata “Mentre la maggior parte dei ricordi svanisce la memoria per la musica è una delle ultime a sparire. Pazienti in fase della malattia molto avanzata sono ancora un grado di suonare uno strumento se musicisti e intonare le loro canzoni preferite” …perché il ricordo della musica è conservato in una rete di neuroni localizzati in lobi che vengono colpiti molto più tardi dalla patologia. Purtroppo per Frau Ruetli ci fu una progressione costante della malattia che richiese il ricorso agli antipsicotici.
Sofia, una signora svedese, a quarant’anni, nel 2016 si rivolse al Centro di Zurigo ove Maria Teresa era appena arrivata con una diagnosi di Demenza di Alzheimer “genetico”. Antonella già lavorava in quella città.
La demenza di Sofia era ereditaria, ma poiché colpiva persone molto giovani queste non erano inserite nei casi clinici da studiare. Così fu risposto a Sofia, preoccupata per le sue figlie.
La comparsa all’orizzonte di Sofia contribuì alla nascita del progetto di cui Antonella, con Maria Teresa sono state fondatrici: il “Women’s Brain Project” e di cui Sofia ne è oggi ambasciatrice.
Due considerazioni finali.
Il libro oltre al dialogo continuo “amicale/ scientifico” tra Antonella e Maria Teresa inserisce le storie narrate in un diario personale di Antonella, su cui, con Zurigo come sfondo, si snoda la sua vita di donna, moglie e madre, di cui racconta timori e paure, gioie e dolori. Da un episodio doloroso nasce anche questo titolo un po’ misterioso. Antonella dichiara di avere un obiettivo: combattere tutti i pregiudizi che riguardano le malattie mentali e del cervello, lo stigma che colpisce le persone che ne sono affette.