Tutti uguali di fronte a qualcosa. Non era mai successo prima. Forse perché non eravamo più in grado di vedere, tutti assieme, la stessa cosa.
In realtà anche prima c’era la morte a farci tutti uguali. Ma prima la morte era un fatto individuale, privato, da occultare. Adesso ci riguarda tutti assieme, e per la prima volta abbiamo la consapevolezza di essere più simili di quello che abbiamo sempre pensato. Le differenze di reddito, di potere sociale, di intelligenza o di forza, non contano più: ci ha pensato l’invisibile: un virus.
Un tempo ci ha provato Dio a renderci tutti uguali; e per un po’ – forse – ci è anche riuscito.
Poi il libero arbitrio, il soggetto, l’economia e la tecnologia, hanno enfatizzato le differenze.
In realtà erano piccole le differenze, quasi risibili viste dall’alto; ma noi nel frattempo avevamo oscurato l’azzurro del cielo, e guardavamo tutto solamente dalla caverna del sociale. E dal punto di vista degli uomini quelle piccole differenze erano diventate grandissime, quasi un assoluto.
E allora ognuno ha pensato di valere più di tutti. E chi non aveva le prove di ritorno, era condannato al rancore.
E il rancore si è insediato dentro la nostra società come se fosse l’unico sentimento adeguato. E chi continuava a parlare di bene, veniva considerato un refuso.
Tutti sapevano tutto nelle televisioni. Adesso abbiamo scoperto che non era vero niente . Parlavano tutti per sentito dire; e meno sapevano, più cose avevano da dire.
Quelli bravi adesso dicono di essere incerti; di tentare; ma di non avere le prove. Adesso quelli bravi dicono di non avere la certezza di dove possono arrivare.
Gli altri, per fortuna, restano fuori.
E adesso ,per la prima volta nella mia vita, sono contento di essere un italiano. Non mi era mai successo prima: neanche quando abbiamo vinto i mondiali; neanche quando il PIL cresceva più di qualunque altra nazione. E neanche quando tutti ci invidiavano per la storia, per l’arte, o per l’alimentazione.
Adesso è diverso: l’infermiera di Cremona merita un monumento; il nostro sistema sanitario una lode perenne; il nostro Presidente il nostro affetto per sempre.
E anche la comunità tutta, anche gli italiani qualunque hanno trovato parole più oneste per dire quello che c’era da dire.
C’è più amicizia negli occhi degli sconosciuti; c’è più tenerezza per tutti. Noi siamo rinchiusi dentro le nostre case, ma le nostre finestre sono aperte per cantare e per ringraziare.
Se domani riusciremo a ricordare l’esperienza che oggi stiamo vivendo, saremo tutti migliori. Migliori, non perfetti; e forse saremo più bravi a perdonarci anche i nostri errori.
Domani non sarà diverso da ieri; ma noi sì. Avremo uno sguardo più pulito, più puro; come se avessimo capito la differenza tra il necessario e i nostri desideri.
Tino Di Cicco