Sento dire che molti non capiscono perché nel 1936 quasi tutti gli italiani erano fascisti, mentre solo dieci anni dopo, nel 1946, in Italia i fascisti non c’erano già più. Non è strano; è normale invece.
Gli uomini stanno sempre con i vincitori, è questa la regola che regola i nostri comportamenti; perciò fin quando il fascismo vinceva, gli italiani era fascisti; quando Mussolini ha perso la guerra, i fascisti non c’erano più. Tutto qui.
In questo modo non “ragionano” solo gli italiani, ma tutti gli uomini. E non solo adesso, ma da sempre.
Se volete trovare una “ratio” nella storia degli uomini, nella politica e anche nella religione, cercatelo nella dipendenza degli uomini dai vincitori. È il filo rosso che guida tutta la logica degli uomini.
La grandezza delle idee, la bontà, la nobiltà, la gentilezza, forse anche l’amore, contano molto poco; per la razza degli umani contano soltanto i vincitori. E non lo fanno per cattiveria: è la loro natura. Non possono fare diversamente.
Guardate gli uomini importanti sui libri di storia: più hanno ucciso, più pagine vengono loro dedicate. Più territori hanno rubato ai “nemici”, più sono ammirati dai posteri. E nella politica non è diverso; non contano le idee, contano solo i voti. Se un politico porta in dote molti voti, allora sono considerate buone anche le sue idee, altrimenti non conta niente. Deve vincere, non è importante la saggezza delle sue ragioni. Ed anche nello sport è così; se una squadra di calcio vince per uno a zero, viene lodata dai tifosi e sui giornali, anche se la squadra avversaria ha colpito cento volte i pali.
Qual è il film migliore? Quello che ha incassato di più al botteghino. E il libro più bello? Quello che ha venduto più copie. E qual è il figlio migliore? Quello che ci dà più soddisfazioni; e la soddisfazione più grande è la vittoria in una qualsiasi competizione.
Circa 2000 anni fa un certo Gesù di Nazareth ha cercato di spiegare le cose da un altro punto di vista. Gli uomini prima lo hanno messo in croce; poi lo hanno fatto vincere (sulla morte). E lo hanno fatto vincere perché solo così poteva essere assunto nel Pantheon degli uomini.
Per gli uomini non è importante che sia stato buono con chi lo meritava e anche con chi non lo meritava, importante è che sia resuscitato, che abbia sconfitto la morte. Il nostro invincibile nemico.
La vittoria è all’origine di tutte le nostre valutazioni, di tutti i nostri giudizi, di ogni nostro “valore”. Nessuno ne parla perché significherebbe mettere in discussione i fondamenti del nostro esistere: la nostra idea del bene.
Se ci provassero, troverebbero che alla base c’è sempre la vittoria. E questo non ci sembra moralmente accettabile, a noi che diciamo di essere cristiani.
L’adorazione della vittoria da parte degli uomini non è un fatto culturale, è una esigenza biologica. Se venisse meno questa fiducia, avremmo un cambiamento radicale; impossibile con la politica, con la religione e anche con la filosofia.
Se l’uomo non fosse più servo della vittoria, come è stato finora, avremmo forse l’Übermensch di cui parlava Nietzsche. Avremmo forse un angelo, un santo, un saggio. Avremmo forse un dio, ma non l’uomo che conosciamo.
Tino Di Cicco